“Qualcuno che amavo una volta mi ha regalato una scatola piena di oscurità. Mi ci sono voluti anni per capire che anche questo era un dono” è una citazione della poetessa americana, Mary Oliver. Nell’arco della nostra vita ci imbattiamo frequentemente in figure che, volontariamente o meno, ci fanno dono di una “scatole di oscurità”, come sottolineato dalla poetessa Oliver. Queste scatole rappresentano gli aspetti più difficili e dolorosi delle nostre interazioni: incomprensioni, delusioni, fallimenti, o persino tradimenti. Curiosamente, in alcuni casi, la persona che offre questa scatola siamo noi stessi, riflettendo la nostra natura imperfetta e la nostra tendenza a ferire, anche involontariamente, coloro che ci stanno vicino.
La trasformazione di questa “oscurità” in un “dono” è un processo che richiede un profondo lavoro interiore. Psicologicamente, affrontare ed elaborare il dolore e la delusione può portare a una maggiore consapevolezza di sé e degli altri. Questo processo di introspezione può essere sì doloroso, ma è essenziale per la crescita personale. Dal punto di vista filosofico, questo percorso può essere interpretato come un viaggio attraverso la “notte oscura dell’anima”, un concetto presente in molte tradizioni mistico-filosofiche, evidenzia l’importanza di crisi e difficoltà come step essenziali verso un’illuminazione o maturità spirituale più profonda.
Tuttavia, è importante riconoscere che, sebbene il dolore e la sofferenza possano essere trasformati in doni di saggezza e crescita, non sono necessariamente desiderabili o salutari di per sé. L’idea che la sofferenza sia un requisito per la crescita è una narrazione potente, ma può anche essere pericolosa se interpretata come un invito a cercare attivamente o a tollerare situazioni dannose. In questo senso, il vero dono non è l’oscurità stessa, ma la capacità di trasformarla e trascenderla attraverso il filtro del tempo e dei ricordi.
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